PROLOGO

 

 

 

 

 

    «Prova uno…due…tre…prova…».

    «Mi spieghi esattamente cosa dobbiamo fare?»

    «Tra poco lo scoprirai, prima fammi sentire se ha registrato…» 

    «Prova uno…due…tre…prova…»

    «Perfetto, ha registrato».

    «Perfetto, ha registrato».

    «Non farmi il verso!»

    «Buh buh che paura! Qualunque cosa tu abbia in mente, cominciamo, perché sono curioso».

    «Okay, iniziamo. Per favore siediti sulla poltrona di fronte a me.»

    «Perché? Non posso stare dove voglio?»             

    «Dobbiamo registrare i nastri stando sempre nello stesso punto della stanza, così l’audio non cambierà.»

    «Fammi capire bene le tue intenzioni: registriamo questi nastri e poi li trascrivi facendoli diventare un libro o qualcosa del genere?»

    «Esattamente, trascriverò quello che diremo.»

    «Parola per parola? Cioè il libro conterrà solo conversazioni?»

    «In realtà non ho ancora deciso al riguardo, forse userò questi nastri per formare i caratteri dei protagonisti, così da essere obiettivo.»

    «Ti ho mai detto che sei un tipo strano?»

    «Spesso. Dai, iniziamo.»

    «Sììì. Che figata. Sognavo proprio di arrivare a ventotto anni e parlare a un microfono.»

    «Tranquillo, non ti chiedo di mostrarti entusiasta.»

    «No, giuro, sono elettrizzato! È sempre stato il mio sogno nel cassetto trascorrere un sabato sera nel nostro appartamento con il mio amico a parlare a un microfono.»

    «Come sei simpatico! Falla finita e vieni a sederti di fronte a me, dai.»

    «Okay capo, agli ordini.»

    «Allora, fammi sistemare bene il microfono sul tavolino che ci divide; ecco, ora raddrizzo lo stelo del microfono puntandolo verso il soffitto.»

    «Perché parli così?»

    «Così, come?»

    «Perché descrivi minuziosamente quello che fai? Sembri uno scemo.»

    «Evidentemente non hai capito un bel niente di quello che ci apprestiamo a fare. Sto parlando in questa maniera, descrivendo ogni cosa, a uso e consumo dei lettori. Così, quando trascriverò i nastri, il lettore avrà anche un’idea di dove ci troviamo. Capito adesso?»

    «Allora mi spoglio! Così dovrai descrivermi nudo, sai che ridere: sabato sera, ore venti, stiamo parlando di gnocca, Fede ha un’erezione da primato… hahaha!»

    «Stupido! Hahaha! Cerca di prendere la cosa seriamente.»

    «Sì, hai ragione, scusa. Però ti ho fatto ridere!­­­»

    «Cosa stai facendo?»

    «Mi spoglio, no?»

    «Ma falla finita e siediti, che cominciamo.»

    «Okay.»

    «Dunque…»

    «Aspetta, ma i lettori non sanno come sono vestito, com’è la stanza, come mi chiamo… perché mi guardi così? Per la cronaca sta sorridendo soddisfatto, lo dico a uso e consumo dei lettori futuri.»

    «Bene, impari in fretta! Ora ascoltami attentamente: tra un minuto me ne vado, scendo al bar di sotto e prendo delle birre, così nel frattempo tu potrai descrivermi ai lettori. Tutto chiaro?»

    «Ah, ho capito. IO SONO QUELLO FIGOOOO.»

    «E non gridare!»

    «Gne gne.»

    «Dicevo…»

    «Lui è il rompipalle.»

    «E soprattutto non interrompermi. Dai Fede, prendi la cosa sul serio, te lo chiedo per favore.»

    «A be’, se me lo chiedi per favore allora okay.»

    «Okay, se non ti va bene così puoi sempre andartene; troverò qualcun altro disposto a condividere questa cosa con me.»

    «Chi? Sono l’unico amico che hai.»

    «Lo chiederò a Gigi della panetteria.»

    «Capirai che roba.»

    «Senti, non voglio forzarti, dovrebbe essere una cosa spontanea. Quindi se non ti va troverò qualcun altro, davvero.»

    «Eeeeh ma che permaloso, stavo solo scherzando! Se non avessi voluto partecipare al tuo “progetto” (per i lettori: ho virgolettato “progetto” con le dita) non mi sarei trovato qui. E poi non ho capito di cosa si tratta, ma comunque non voglio restarne fuori, quindi procediamo.»

    «Bene, allora adesso vado a prendere da bere. Tu descrivimi onestamente, okay?»

    «Tutto chiaro capo, tranquillo. Fidati.»

    «Ciao, a dopo.»

    «Okay raga è andato, dunque da dove inizio? Mi mette a disagio dover parlare da solo. Comunque, il mio amico si chiama Daniele Montero, ha ventotto anni, è un aspirante scrittore e si arrangia con lavoretti occasionali. Attualmente distribuisce volantini. Comunque passiamo al sodo, mi ha chiesto di essere onesto e lo sarò: Daniele è un gran bel pezzo di figo. Mi duole ammetterlo ma, il ragazzo ha un visino affascinante. È moro e porta i capelli leggermente lunghi sempre spettinati; ha occhi verdi, lineamenti delicati, fisico magrolino, non scheletrico ma giusto. Con le ragazze avrebbe successo se solo si applicasse, perché vedete… cranch! Splash! Crack! Merda, ma che cavolo! Mi è caduto il sacchetto di patatine, che palle! Va beh, dicevo, Daniele non è molto interessato a conquistare l’altro sesso; non che sia gay s’intende, e non è che io abbia qualcosa contro i gay, ovvio… ah, sto incasinando tutto… dicevo, non è gay, è solo che è timido e chiuso, pensa soltanto a scrivere e a volte si dimentica che esiste un mondo là fuori, dove ci si diverte. Comunque è un bravissimo ragazzo, è onesto, gentile, uno su cui si può contare. Il tipo che non ti farebbe mai un torto. Ci conosciamo da tre anni, cioè da quando mi sono trasferito qui a Milano. Lui cercava un coinquilino con cui dividere le spese ed io stavo cercando un appartamento dove stare ed eccoci qua, legati da una forte e onesta amicizia. Daniele è così onesto che non descriverebbe mai come sono realmente. E quando riascolterà questo nastro sarà ormai troppo tardi, quindi passo ora a una rapida descrizione del sottoscritto. Sono un tantino sovrappeso, non in maniera esagerata ma ho una bella mole. Lui direbbe che ho la pancetta ma la realtà è che dovrei perdere trenta chili almeno. Che altro dire su di me? Vediamo...

    Drinn

    Cazzo, è già tornato!»

    «Hai fatto in tempo a descrivermi? Ho fatto troppo presto?»

    «No tranquillo. Adesso vado a prendere le pizze che ho fame; descrivimi con onestà, okay?»

    «Certo, io voglio…»

    «Lo so, una prosciutto e funghi con doppia mozzarella.»

    «Perfetto, metto le birre in fresco e poi ti descrivo.»

    «Fai con comodo, a dopo.»

    «Ciao… oh bene, eccoci qua. Dunque iniziamo, Federico Ricci è mio amico da tre anni, da quando è venuto ad abitare con me. Ha ventotto anni. Da grande vuole fare l’architetto e frequenta l’università qui a Milano. È un bel ragazzo, certo ha un po’ di pancetta e dovrebbe mettersi a dieta, ma ha fascino e un discreto successo con le ragazze. E ve lo dice uno che sta spesso sul divano a scrivere sul proprio quaderno mentre lui è chiuso in camera con la ragazza di turno… Crunck! Ma che diavolo è ‘sta roba? Patatine maciullate in terra? Tipico di Fede. Datemi un minuto che ripulisco… ecco fatto… dunque, Fede ha i capelli corti neri, occhi scuri dal colore indefinito e due enormi fossette che appaiono sulle guance quando ride e che lo rendono adorabile agli occhi delle ragazze. Prima o poi dovrei decidermi a seguire le sue orme e trovare una ragazza anch’io, prima però voglio finire il mio romanzo. Ma stavo parlando di Fede… dunque studia molto perché ci tiene a riuscire in quello che fa, al contrario di me che lascio sempre le cose a metà. È un ragazzo d’oro, sempre pronto a farsi in quattro per aiutare gli altri. Non ama il calcio e in questo andiamo d’accordo. Lui è più appassionato di macchine, segue il rally e la formula uno. Federico è uno su cui puoi contare nel momento del bisogno, non ti abbandonerebbe mai.

    Drinn,

    Merda, ha già fatto?»

    «Eccomi qua.»

    «Ma come diavolo hai fatto a fare così presto?»

    «Semplice. Oggi, quando mi hai reso partecipe delle tue intenzioni per stasera, ho prenotato le pizze da Giordano, gli ho detto più o meno a che ora sarei passato a prenderle ed eccomi di ritorno! Ho fatto troppo presto?»

    «No dai, va bene, tanto avevo finito.»

    «Bene, ecco la tua pizza. Ah, per i nuovi amici all’ascolto…»

    «Leggeranno, non ascolteranno.»

    «Giusto. Per i lettori, mi sono spaparanzato sul divano con il cartone caldo della pizza ai frutti di mare sulle gambe, ho una birra fresca in mano e ho aena aentao un ezzo i bizza.»

    «Puoi evitare di parlare con la bocca piena?»

    «Hi Oei»

    «Grazie.»

    «Mmm buonissima la pizza da Giordano. Ora che si fa?»

    «Ora ci descriviamo nuovamente in presenza dell’altro, okay?»

    «Forte!»

    «Allora: abbiamo ventotto anni, io mi occupo di lavori saltuari. Giusto quello che mi serve per pagare le spese e per il resto del tempo lavoro al mio progetto.»

    «Ragazzi, non vuole precisare che praticamente non fa un cazzo tutto il giorno.»

    «Non è vero.»

    «Sì va be', meglio non scendere in dettagli giusto?»

    «Federico invece…»

    «Un giorno farò l’architetto!»

    «Ehi, stavo parlando io.»

    «Pensi che sono così scemo da non poter dire con parole mie cosa faccio? Tu pensa a raccontare le tue di cose, io racconto le mie.»

    «Mmm, mi sembra giusto; avevo pensato di descrivere tutto io visto che hai la bocca impegnata dalla pizza, ma anche così va bene.»

    «Ci mancherebbe, dai, continua.»

    «Allora il lavoro l’abbiamo detto, poi…»

    «Perché non dici che cos’è il foglietto che stai leggendo?»

    «Sono degli appunti, una specie di scaletta del programma.»

    «Ma falla finita, butta via quel foglio e andiamo alla cieca.»

    «Non sai neppure cosa ci fai qui e vuoi andare alla cieca? Un minimo di organizzazione ci vuole, no?»

    «Ma va va, passa qui quel foglietto.»

    «Nooo! Ehi, lasciami stare!»

    «Mollalo!»

    «Piantala!»

    «Apri la mano! Dai!»

    «No! Torna a posto! PIANTALA!!!!!»

    «Molla!»

    «Ahiaaaa.»

    «Oh, ecco fatto! E adesso lo strappo…»

    «Nooo!»

    «E poi butto i pezzetti nel cestino che si trova in terra vicino alla scrivania, nell’angolo del soggiorno.»

    «Merda, mi hai fatto male.»

    «Non ti ho fatto niente.»

    «Guarda ho il segno delle tue unghie sulla mano.»

    «Oh poverino.»

    «Stronzo.»

    «Ehm ehm.»

    «Perché tossisci?»

    «Per schiarirmi la gola. E tu perché devi dire a tutti che ho tossito?»

    «Così quando leggeranno il tuo “ehm ehm” sapranno che si tratta di due colpi di tosse.»

    «Minchia, ma devi riportare proprio tutto?»

    «Certamente.»

    «E allora scrivi anche questa: Prrr

    «Ma che schifo!»

    «Mmm senti che profumo di biscotti caldi.»

    «Che schifo… bleah…»

    «Però stai ridendo! Ragazzi sta ridendo hihihi!»

    «Dai, procediamo. Allora, ho i capelli castani corti, gli occhi verdi e la carnagione chiara.»

    «Io sono un figo, punto.»

    «Non puoi descriverti un po’ meglio?»

    «Evvabbene, sono alto uno e settanta, ho i capelli castano neri, corti, gli occhi marroni, un fisico leggermente abbondante, la barbetta di due giorni, nel senso che l’ho fatta giovedì e oggi è sabato, quindi di due giorni. I lineamenti del viso sono… sono belli, come cazzo li devo descrivere i lineamenti del mio viso?»

    «Cosa ci vuole! Hai un viso morbido, il naso piccolo, labbra carnose, orecchie a sventola!»

    «Non sono a sventola!»

    «Sì che lo sono.»

    «Aspettate. Aspettate. Sto andando a specchiarmi. Okay, sono davanti lo specchio appeso dietro la porta di casa, osservo le orecchie. Visto, non sono a sventola! Sono leggermente rivolte verso l’esterno.»

    «Ma falla finita, cerca di essere sincero. Al confronto Will Smith ha le orecchie piatte.»

    «Ma che cazzo dici!!!!!»

    «Hahaha! Guarda che faccia rossa hai. Dai, vieni a sederti, stavo scherzando! Fede non ha le orecchie a sventola: sono solo leggermente larghe tutto qui.»

    «Oh, così va meglio.»

    «I miei lineamenti sono morbidi e nel complesso sono un bel ragazzo, magrolino ma con un discreto fascino.»

    «Sì, dai, te la lascio passare.»

    «Ma sentitelo.»

    «Okay, passo a descrivere la mia ragazza. Cioè, non è proprio la mia ragazza, nel senso che ci vediamo solo per fare sesso, comunque è una tipa da urlo. Alta un metro e ottantacinque, bionda, occhi azzurri, fisico da paura, tette grosse, simpatica.»

    «Come sei superficiale.»

    «Ma ovvio che sono superficiale, devo descriverla, cioè devo parlare della superficie del suo corpo.»

    «Non superficiale in quel senso! Comunque la ragazza in questione ha un nome, si chiama Roberta e ha anche un discutibile gusto in fatto di uomini.»

    «Ehi! Perché non descrivi la tua, di ragazza? Ops… è vero tu non hai una ragazza, o meglio non al momento.»

    «Come sei simpatico.»

    «Grazie, grazie.»

    «Passiamo ad altro.»

    «Ho fame!»

    «Hai appena finito la pizza!»

    «Embé? Ho ancora fame.»

    «Okay, vai a farti un panino, io aspetto.»

    «Bene, vado e torno. A uso e consumo dei lettori, mi sto alzando; sto attraversando la stanza; sto aprendo la porta della cucina e sto tirando fuori il pane dal pensile. STO AFFETTANDO IL PANINO E ORA STO PRENDENDO DAL FRIGO IL SALAME, MI STAI SENTENDO ANCORA? EHI, MI STATE SENTENDO? YUUUHUU! MI STATE SENT…»

    «Che matto. Sì, ti sento! Okay, siamo rimasti soli. Non sarà l’unica occasione, ma bisogna approfittarne. Il mio progetto è semplice: Federico ed io discuteremo di noi e di come la pensiamo su svariati argomenti. Vi garantisco che sarà interessante perché la pensiamo diversamente quasi su tutto e forse per questo riusciamo a essere così amici. Durante questa serata imparerete a conoscerci meglio, ve lo garantisco.»

    «STO TORNANDO MI SENTITE? ARRIVOOO.»

    «Mii che veloce.»

    «Eccomi qua, ho pensato di portare qualcosa anche per te. Ho preso un pacchetto di patatine, una bottiglia di the freddo alla pesca e un pacco di brioches. Non avrai mica sparlato di me vero?»

    «Ma figurati, passa qua una brioche e vedi di non far cadere altre patatine»

    «Certo, certo. Okay, dov’eravamo rimasti?»

    «Stiamo per iniziare, pronto?»

    «Sì.»

    «Bene, allora iniziamo col parlare di religione.»

    «Che culo!»

 

   

   

TRE ANNI DOPO

 

      

1

 

 

 

Quando un rapporto sta per finire, si hanno obbligatoriamente delle avvisaglie. Talvolta sono ignorate ma ci sono: lì, in bella vista! I discorsi lunghi e sensati si fanno rari. Si litiga per sciocchezze e spesso non ci si parla per giorni. Di tanto in tanto si continua comunque a fare l’amore, riducendo quest’atto a semplice sesso: perché è un bisogno fisico, ma lo si fa con una certa dose di rabbia repressa. Si cerca forzatamente di individuare dei difetti nell’altra persona e, quando si trovano, glieli si fanno notare con poco garbo. Daniele Montero queste avvisaglie le aveva avute tutte, ciò nonostante aveva finto di non vederle. Ora, immobile davanti alla porta dell’appartamento, Daniele si ostinava a credere che fosse tutto un colossale scherzo. Non poteva essere altrimenti. Sebbene una parte di lui si fosse aspettata l’imminente crisi con Elena, esserci arrivato proprio in quel periodo così negativo e incasinato rendeva il colpo ancor più duro da sopportare. Anzi, ora che la rottura incombeva su di lui sentiva che non voleva tutto questo. Stava iniziando a focalizzare la dura realtà e capiva che non desiderava farne parte. Sperava di sistemare tutto, ricominciare daccapo. Tornare ai bei tempi, quando si amavano follemente.
    Invece era lì: sbigottito. Non si capacitava di quanto vedeva, era immobile e incredulo (era anche stordito e disorientato, ma non riusciva a rendersene conto) davanti alla porta aperta dell’appartamento in cui negli ultimi tre anni aveva vissuto con Elena Dello, la sua ragazza, prossima a diventare ex alla luce dei fatti.
    Erano le otto di sera e Daniele stava rincasando dopo unn settimana trascorsa a Roma, dove aveva partecipato a un corso di scrittura creativa.
    Daniele era già demoralizzato di suo, perché vedeva il sogno di pubblicare un libro allontanarsi visto che il corso non era andato come lui aveva sperato, e quella scena davanti a cui si trovava sembrava dare il colpo di grazia al suo morale.
    E quello poteva tranquillamente essere definito un colpo ben assestato.
    Per prima cosa era stato costretto a suonare il campanello, giacché le sue chiavi sembravano non funzionare più. E se questa non era stata la ciliegina sulla torta delle innumerevoli avvisaglie di crisi e rottura imminente, di certo l’uomo che andò ad aprire la porta e lo guardò dalla testa ai piedi con sufficienza fu uno schiaffo morale alla sua dignità.
    «E tu che vuoi?» sbuffò infastidito l’energumeno.
    «Chi cazzo sei tu?» tuonò Daniele sbottando, rendendosi conto solo in ultimo che quello sconosciuto non gli aveva domandato chi fosse, ma cosa volesse. La sua reazione, va precisato, era stata aggravata dalla frustrazione del fallimentare incontro con l’editore. Ma quella frustrazione ardeva già su un focolare precedentemente attizzato dai litigi tra lui ed Elena, dal comportamento schivo di lei degli ultimi tempi, e da tante altre piccole cose che lui aveva sottovalutato.
    «Smamma bello» rispose scaldandosi l’estraneo dentro quella che Daniele considerava casa sua. In realtà l’appartamento l’aveva comprato Elena e successivamente lui era andato a convivere con lei quindi, a voler ben vedere, non aveva mica tanti diritti lui.
    «Vaffanculo! Io abito qui.»
    «Ho detto smamma!»
    «Dov’è Elena? Elena!!!» chiamò Daniele guardando oltre la spalla dello sconosciuto.
    «Ma sentilo, questo qui.»
    Daniele lo fissò. Era un tizio tutto muscoli, indossava una maglietta a maniche corte che sembrava sul punto di strapparsi sotto la pressione della massa muscolare. Jeans scuri e anfibi neri. Poteva essere uno degli amici di Elena. Lei conosceva così tanta gente.
    Elena Dello era una modella, una giovane e bellissima modella che stava per intraprendere la carriera nel cinema. Stavano insieme da tre anni e anche se Daniele in quanto a fisico era l’opposto del tizio che aveva davanti, Elena non faceva che ripetergli quanto lo amava e che nulla sarebbe cambiato tra loro. Tranne che quelle frasi, negli ultimi tempi, si era scordata di dirle e lui non era certo andato a ricordarglielo. Nell’ultimo periodo Elena era stata sempre distante e con la testa da un’altra parte, né più né meno di quanto non lo fosse lui. Certo per Daniele il motivo era che stava risistemando il romanzo e sentiva crescere dentro l’ansia per l’incontro con l’editore; che dopo aver letto la bozza si era detto entusiasta e interessato: un modo elegante per dirgli che lui era il pollo a cui spennare denaro.
    E anche se lui si era sforzato di non vedere che i cambiamenti erano nell’aria, adesso doveva sbattere il muso contro la dura realtà: qualcosa stava cambiando, anzi qualcosa era già cambiato!
    Lei andava spesso in giro per servizi e Daniele se ne restava nel loro appartamento a lavorare sul suo portatile (era di Elena il portatile come tutto il resto là dentro giacché lui era squattrinato) attendendo il ritorno di lei nel loro nido d’amore.
    «Dov’è Elena?» domandò nuovamente Daniele ignorando il tizio e indirizzando lo sguardo all’interno dell’appartamento. Provò a chiamarla ancora: «Elena. Elena!» e sentì la rabbia montargli dentro. Dio, come aveva fatto a non accorgersene? Quando era stato in procinto di partire per quel viaggio e si era fermato sulla soglia di casa, Elena stava leggendo una rivista sdraiata sul divano. «Allora io vado», aveva annunciato. Lei non lo aveva neppure guardato e si era limitata a un «mmm mmm» biascicato. Lui aveva chiuso gli occhi fissando il buio per qualche istante poi era uscito sbattendo la porta.
    Ora, davanti a lui, l’uomo avanzò un passo chiudendogli la visuale sull’appartamento e gli mise una mano grande quando un piatto sul petto. Lo spinse bruscamente. «Vaffanculo!» ringhiò.
    Daniele arrancò all’indietro e inciampò cadendo di sedere sul pavimento del pianerottolo davanti alla porta dell’ascensore.
    La rabbia s’impadronì di lui e lo fece scattare in piedi. Ma non era certo in grado di affrontare un simile bestione: le avrebbe prese di santa ragione, perciò sbottò: «Testa di cazzo! Dimmi subito dove si trova Elena, cosa le hai fatto?» no, forse preferiva non sapere cosa avessero fatto insieme.
    Il tizio sorrise e inarcò un sopracciglio. «Sei proprio un coglione», decretò.
    Daniele sfilò di tasca il cellulare (un regalo di Elena) avvertendo un lieve tremore alle gambe.    
    «Ora te lo faccio vedere io chi è più coglione tra noi due.»
    In quel momento Elena sbucò da dietro le spalle dell’energumeno e Daniele si rese subito conto della situazione ma, più di tutto, capì che il coglione, in quel frangente, era proprio lui.
    Elena aveva indosso solo indumenti intimi di pizzo nero. Era bellissima come sempre, una dea. I lunghi capelli biondi lucenti come seta, le labbra rosse e carnose, gli occhi blu come il cielo, il fisico perfetto: una visione.
    «Che cosa succede?» domandò guardando fuori della porta. Quando vide Daniele, il suo ragazzo, la persona con cui divideva l’appartamento, i sogni, le aspettative di una vita, quando lo vide non fece una piega e andò ad abbracciare da dietro il tizio muscoloso che era grosso tre volte lei.
    «Oh, sei tu? Non dovevi rientrare domani pomeriggio?» disse biascicando un pochino le parole. A Daniele diede l’impressione di non essere tanto presente, sembrava come drogata. Lui sapeva che in certi ambienti girava eroina, Elena stessa gli raccontava spesso di aver visto delle sue colleghe farne uso, rassicurandolo ogni volta che lei non assumeva quella robaccia. Lei era pulita, lei lo amava! Almeno c’era stato un tempo in cui si erano amati, ora Daniele iniziava a credere che questo loro amore volgesse al termine. E allora perché provava tanto dolore al petto? Perché sentiva le lacrime pungergli gli occhi? Ora che iniziava a subodorare l’imminente fine della loro storia sentiva che non voleva che accadesse. Tutto si poteva sistemare no? Bastava parlare, chiarire, essere sinceri: non funziona così?
    «Sono rientrato prima perché era tutto un bluff». Spiegò Daniele osservando per un momento il suo borsone di tela nero lì per terra.
    «Oh, mi dispiace», rispose Elena, per nulla amareggiata.
    «Bello, gira sui tacchi e vattene». Lo minacciò l’uomo.
    Daniele ignorò l’avvertimento e anche il tremore alle gambe. Ignorò persino il bruciore cocente allo stomaco e il cuore in tumulto.
    «Che cosa succede?» domandò con la voce spezzata dall’emozione e dalla paura.
    Per la prima volta lo sguardo di Elena fu più presente. Indirizzò i suoi grandi e fantastici occhi blu su di lui guardandolo con stupore: «Bé nulla di che: Pasquale ed io ci stavamo divertendo un pochino insieme.»
    Il tizio sorrise mentre Elena posava le labbra carnose sopra il suo bicipite scolpito e gli scoccava un bacio.
    A Daniele salì il sangue al cervello e non ci vide più dalla rabbia. Crisi o non crisi lui avrebbe lottato per Elena. Scattò in avanti caricando il braccio destro per sferrare un pugno in faccia a quello sconosciuto.
    Ma non arrivò neppure ad abbozzare un inizio di tentativo di compiere l’atto che aveva in mente. L’uomo, mostrando una rapidità sorprendente, scattò in avanti e sollevò il braccio calando contro la sua guancia un macigno incredibilmente duro. Daniele volò all’indietro con un tonfo sordo sul pianerottolo. Rotolò su un fianco mentre si afferrava la mandibola pensando seriamente che gli sarebbe rimasta in mano. Era stata una botta tremenda che gli aveva fatto vibrare tutte le ossa del corpo. La vista gli si oscurò brevemente e in quel mentre pensò, anzi sperò, di sentire la voce di Elena esplodere in una protesta nel tentativo di prendere le sue difese.
    Ma ciò non avvenne.
    Quando si riebbe dal momentaneo stordimento si rialzò reggendosi su gambe malferme e vide che entrambi erano al loro posto. Il tizio era sempre fermo davanti alla porta del loro appartamento (che una parte della sua mente, la più razionale, stava già catalogando come “appartamento di Elena”) mentre Elena si trovava sempre seminascosta dietro il suo corpo possente ed era avvinghiata al braccio nerboruto.
    «Ti sei fatto male?» domandò trasognante lei. Ma non apparve per nulla preoccupata.
    «Elena, che cosa succede?» domandò con rabbia Daniele massaggiandosi la mascella dolorante. Era dolorosamente consapevole che per quanto cercasse vendetta e le sue intenzioni fossero alimentate dalla rabbia, una sorta di autodifesa nel profondo del suo cervello lo obbligava a desistere dallo sferrare un nuovo attacco. Un secondo colpo come il precedente lo avrebbe probabilmente steso per giorni, se non peggio.
    Lei sbatté le palpebre tre volte fissandolo sorpresa. «Niente.»
    «Come niente! Vado via per tre giorni e al mio rientro trovo uno sconosciuto in casa nostra?»
    L’espressione di Elena s’indurì, ora sembrava decisamente presente. «Nostra? Questa è casa mia e tu non sei più il benvenuto.»
    «Ma…?» e le avvisaglie, i sottili avvertimenti che aveva colto in passato, che aveva intravisto e finto di non vedere, lo travolsero in quel momento gravando sulle sue spalle. Lo sconcerto fu tale da fargli morire ogni protesta in gola. Il silenzio calò nel pianerottolo mentre lo sconosciuto continuava a fissarlo soddisfatto.
    L’unica che aveva qualcosa da dire ora sembrava Elena, che infierì ripetendo una frase che sembrava tanto costruita quanto falsa: «Sono in una fase nuova della mia vita e in questo periodo non voglio impedimenti emotivi.»
    E così era diventato un impedimento, ma un impedimento per cosa? Lui l’aveva sempre incoraggiata. Lui era quello che le consigliava quali servizi fotografici accettare tra i molteplici che le venivano offerti, perché Elena era così bella che tutti la volevano. E spesso Daniele si era fatto del male riflettendo sulla fragilità del loro rapporto, date le stupende fattezze di Elena. In fin dei conti aveva sempre convissuto con il timore di perderla da un momento all’altro. Però erano ormai trascorsi tre anni e la loro relazione era andata a gonfie vele fino a qualche mese prima. Certo i litigi erano aumentati ma questo non voleva dire fare andare tutto in malora, le cose si potevano sistemare. Evidentemente Elena la pensava diversamente, e questo a Daniele faceva male in un modo così vero e profondo che non avrebbe creduto possibile.
    Per Daniele Elena era tutto. La sua esistenza era costituita da due periodi ben distinti. La vita prima di Elena, in cui aveva convissuto con Federico, il suo amico di sempre, e in cui aveva arrancato economicamente arrangiandosi con lavoretti giornalieri e il sogno di pubblicare il suo romanzo. E poi la vita con Elena. La vita con la fotomodella famosa, bella, sempre allegra. Una vita perfetta, piena di amore, di notti di passione. Elena guadagnava bene e lo aveva sempre incoraggiato a inseguire il suo sogno di diventare scrittore. Per i primi due anni Daniele aveva continuato a lavorare in una tipografia, poi si era deciso a tentare di raggiungere il suo sogno e si era dedicato anima e corpo alla scrittura e a cercare editori o case editrici che credessero in lui. Ora si rendeva conto che appoggiarsi completamente a Elena era stato uno sbaglio, un madornale errore!
    Non c’era alcun futuro per lui che non la includesse al momento e, fermo nel pianerottolo, stordito dalle sue parole, Daniele sprofondò in un abisso colmo di rabbia e paura.
    «Cosa intendi, Elena?»
    Lei sbuffò. «Oh, senti, non è difficile da capire, tu qui non sei più ben accetto.»
    «Ma come?», sgomento, non riuscì a dire altro.
    «Ora devi andartene.» Sentenziò lei agitando in aria una mano con indifferenza, come se volesse scacciare una mosca fastidiosa.   
    Daniele non riusciva a credere che fosse la stessa Elena che amava. L’amore della sua vita. Questa nuova versione, per certi versi simile alla Elena durante i loro litigi, era più fredda, cinica e non sembrava provare alcun rimorso per lui.
    «Dove?» protestò in un impeto d’orgoglio e rabbia. «Dove posso mai andare? Io vivo qui, o te lo sei scordata?»
    «Tu eri mio ospite, adesso semplicemente non lo sei più!» la facilità e la freddezza con cui Elena disse quelle parole lo trafissero al petto come una lama rovente.
    «Tutta la mia roba e là dentro!» protestò Daniele quasi in uno scongiuro e con gli occhi lucidi.
    Elena guardò verso il basso: «No, tutta la tua roba è là dentro» indicò il borsone di tela.
    «In casa c’è il portatile su cui ci sono tutti i miei lavori, le mie bozze.»
    «Il mio portatile», precisò lei.
    L’energumeno continuava a guardarlo sorridente, le braccia conserte.
    «Ma come puoi farmi questo?»
    «Non metterla sul drammatico, saprai cavartela benissimo.»
    Daniele non riusciva a capire, anzi, non riusciva a crederci! La rabbia s’impadronì ancora di lui, sfilò di tasca il cellulare e glielo lanciò contro: «Anche questo è tuo!»
    Il telefonino impattò contro il pettorale destro di mister muscolo che assorbì il colpo con estrema efficacia. Il piccolo oggetto metallico scivolò lungo la sua maglietta e cadde nel palmo della mano pronta da un pezzo ad accoglierlo.
    «E anche questi sono tuoi allora!» Daniele sfilò dal portafogli i novanta euro che aveva avanzato dal viaggio e che facevano parte dei trecento euro che Elena gli aveva dato con tanto amore pochi giorni prima, augurandogli per l’ennesima volta buona fortuna. Glieli lanciò contro con rabbia. I pezzi di carta si separarono. La banconota da cinquanta euro volteggiò verso destra e i quattro pezzi da dieci caddero in terra davanti ai piedi dello sconosciuto.
    Elena li osservò un momento, poi sollevò la testa guardandolo sorpresa e, forse per la prima volta, preoccupata (o era dispiacere quello che Daniele le leggeva in viso?).
    «Non essere sciocco, dove puoi andare senza soldi?»
    «Che t’importa?» ribatté e, spinto dall’orgoglio (e, soprattutto, dallo sconvolgimento che gli stava divorando il cervello), afferrò il borsone, se lo mise in spalla e premette il pulsante di chiamata dell’ascensore.
    Le porte si aprirono subito.
    Incorniciato dalla luce dell’ascensore Daniele fissò rabbioso Elena. Lei sostenne il suo sguardo per pochi istanti, poi lo abbassò in silenzio.
    Senza aggiungere altro Daniele entrò nella cabina ascensore e premette il tasto di discesa consapevole che la sua vita finiva quella notte, al quarto piano del palazzo in cui negli ultimi tre anni avevano vissuto lui ed Elena. Se si fosse fermato un momento a riflettere, con ogni probabilità sarebbe saltato nuovamente addosso all’energumeno. Ma a che pro? Le avrebbe prese di santa ragione. Elena non sarebbe comunque tornata sulla sua decisione e a lui sarebbero rimaste ossa rotte e contusioni. Forse doveva lasciarle del tempo per riflettere. Sì, doveva lasciarle un po’ di spazio, pensò sentendo gli occhi pungere.

 

 

...............................................................................................................................................................................continua

 

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